Il Bimbo vestito di Verde



30 Dicembre 2020

Iniziò a saltellare davanti allo specchio, eccitatissimo per il costume che si era ricavato da una vecchia tenda verde. Niente di che. Un semplice tubo di stoffa che avvolgeva il suo esile corpicino. Prese a correre a braccia aperte tra gli scatoloni impolverati e i vecchi utensili che usava come giocattoli, sventolando il suo orsacchiotto sbrindellato. La stoffa gli si impigliava sotto ai piedi e finì per ruzzolare tra gli scaffali, beccandosi due o tre barattoli di vernice in testa. «Ohi, ohi», fece sfregandosi la mano sul capo. Venne subito giù un colpo sordo seguito dalla voce del suo vecchio che urlava: «Dacci un taglio, idiota! Se no vengo giù e ti sistemo per le feste!» Portò un ditino al naso e rivolgendosi al suo piccolo amico di peluche fece «Shhh!».

Sapeva bene che non gli era consentito di uscire a festeggiare la sera di Halloween con tutti gli altri bambini, ma quel meraviglioso costume verde che aveva fabbricato tutto da solo, servendosi soltanto di un paio di forbici arrugginite e di spago, gli trasmetteva un senso di sicurezza che mai prima di allora aveva provato. Tornò davanti allo specchio. Anche la vecchia maschera che indossava gli sembrò meno banale: una grossa testa deforme, con zigomi e occhi disallineati e labbra semiaperte che lasciavano intravedere una dentatura malconcia. Uno dei due occhi era più aperto del normale, quasi potesse scivolare via in qualsiasi momento; l'altro era pesto e gonfio. Ai lati, ciuffetti di capelli si sfrangiavano sulle piccole orecchie accartocciate. La parte superiore era bozzoluta e spelacchiata.
Si portò le mani alle guance e ruotò la testa, prima da un lato e poi dall’atro, come volesse accertarsi che ogni cosa fosse al suo posto. Sebbene nutrisse ancora qualche timore, pensò che non c'era occasione migliore di quella per sfoggiare il suo nuovissimo e meraviglioso costume verde. Chissà come l'avrebbero invidiato gli altri bambini! Dopotutto, era la sera di Halloween e nessuno avrebbe fatto caso alla sua stupida vecchia maschera; e del resto, aveva solo quella. Si fece coraggio e, inciampando più volte sui gradini della scala che portava al piano superiore, raggiunse la porta e cominciò a bussare con impazienza.

«Oh signore! Ma come diavolo ti sei conciato, idiota!?», disse la mamma scoppiando in una grossa risata. «Jim, questo devi vederlo!»

«Non rompere! Sto guardando la tv!», urlò il papà dal soggiorno.

Il piccolino iniziò a zompettare per casa fiero della sua tunica e felice di essere riuscito a far ridere la sua mamma. Chissà se anche il babbo avrebbe reagito allo stesso modo! Non rimaneva che scoprirlo. Così, entro in soggiorno e prima di fare il suo grande ingresso si accertò che il papà non fosse troppo sbronzo. Stette lì a guardarlo per qualche minuto da dietro una poltrona. Il vecchio se ne stava stravaccato sul divano a bere birra e a sghignazzare alle battute del tizio in tv. Sembrava proprio di buonumore. Approfittò quindi del momento e gli si piazzò davanti, sventolando quel pezzo di stoffa verde che gli penzolava addosso. «Tadaa!»

«Togliti dal cazzo, figlio di puttana!». ringhiò il vecchio.

Si scostò di qualche passo per consentire al papà di guardare la tv, ma non si arrese. Rimase lì, immobile, sperando che anche lui si accorgesse del suo vestito nuovo.

«Lo sai», prese a dire il vecchio scolandosi quello che rimaneva nella lattina, «Tu non dovevi neanche nascere. Ho pestato a sangue tua madre per nove fottutissimi mesi. Le ho dato tanti di quei calci fin su nelle ovaie che a un certo punto la sua figa pisciava sangue. E tu sei nato lo stesso, piccolo bastardo. Sei la punizione per tutti i miei mali. Lo so chi ti ha mandato a te. Sei il figlio del demonio tu. Dovrei ammazzarti ora!»

«Cuia», bisbigliò il piccolino stringendosi impaurito l’orsacchiotto al petto.

«E togliti quella roba che hai addosso, aborto che non sei altro!», continuò a sbraitare il babbo. «Dio santo, sei orrendo. Mostri come te non dovrebbero esistere. Ma perché non ti decidi a crepare!?»

«Cuia»

«Ti meriti una bella lezione.»

«No. Cuia! Cuia! Cuia!»

«Si, fagliela vedere a quel disgraziato!», urlò la mamma mentre il vecchio continuava a riempirlo ferocemente di calci e pugni. «Ammazza quel piccolo bastardo!»

E ancora calci. ««E’ lui la nostra rovina!»


A stento riuscì ad aprire un occhio. Sentiva il sangue che gli colava sul viso e non poteva muovere il braccio che probabilmente era rotto. Il dolore era insopportabile ma lui non pianse; non perché voleva essere coraggioso; semplicemente, non voleva rischiare di prendere altre botte. Riuscì a tirarsi su e guardandosi intorno si rese conto che era solo in casa e che si trovava ancora in soggiorno. Avevano dimenticato di rinchiuderlo nello scantinato. Forse quello era il momento buono per piangere. Tuttavia, da fuori giungeva un gioioso vocio di festa e avvicinatosi alla finestra rimase letteralmente a bocca aperta. Gli sembrò di sognare! Lo spettacolo più bello che avesse mai visto! Una parata di bimbi in maschera, borse piene di dolci e zucche baluginanti appese sotto ai portici delle case. Rimase lì per un po', intontito, a contemplare quel caleidoscopico mosaico di colori. Poi, finalmente, realizzò che non era ancora troppo tardi. Che anche lui poteva farne parte! Così raccolse tutte le se forze e pieno d'animo si trascinò dolorante verso il bagno per darsi una ripulita. Tolse via il sangue dalla maschera, ma non riuscì a fare lo stesso con l'abito. La luminosa tinta verde si era come spenta e chiazze scure si allargavano man mano che tentava di farle andar via. Poco male, pensò. Non poteva rinunciare. Quella poteva essere la sua unica possibilità di partecipare a una vera festa e di giocare con altri bambini. Spostò uno sgabello e si arrampicò a forza fino allo stipetto dove la mamma nascondeva quei deliziosi biscotti al cioccolato che ogni tanto poteva mangiare se non era stato troppo cattivo. Ne prese qualcuno e se li mise in tasca. Poi si piegò a raccogliere l'orsacchiotto e con un'andatura storta e il braccio penzolante si diresse verso la porta di casa.

Si guardava intorno e non riusciva a credere ai suoi occhi. Mai aveva pensato che lì fuori potesse essere tutto così colorato e luminoso e bellissimo! Alzava la manina ogni volta che incrociava qualcuno e sebbene gli sguardi che riceveva non erano poi così gentili come si aspettava, per la prima volta si sentiva felice. Il suo costume non era più così importante e, oltretutto, paragonato a quello degli altri bambini non era neanche così bello come credeva. La grossa testa che portava addosso si piegava sempre più da un lato per fare da contrappeso al braccio morto. Precipitò giù un paio di volte provocando le risate degli altri bambini e tirandosi su rideva anche lui.

«Che orrore!», disse qualcuno facendo segno verso di lui.

«Ehi, amico. Quella maschera è una figata!», disse un altro.

Il piccoletto non faceva tanto caso alle parole quanto al fatto che gli altri lo vedevano. Si sentiva parte di qualcosa e tanto gli bastava.

Camminò per un po' con i suoi piedini scalzi, ritrovandosi a un certo punto davanti a quello che era - potete scommetterci - il gruppetto di bambini meglio assortito di tutto il quartiere. Se ne stavano seduti sugli scalini davanti alla porta di una casa. I loro costumi erano veramente spettacolari. C'era il cowboy, il marinaio, pulcinella, la principessa e il metallaro. Fantastici, pensò meravigliato. Si nascose dietro a un cespuglio per spiarli. Il suo sguardo era trepidante e pieno di ammirazione. Man mano che li osservava sentiva crescere in lui la voglia di far parte di quella combriccola. A un tratto, il cowboy tirò fuori dalla tasca la più bella fionda che avesse mai visto; beh, l'unica fionda che avesse mai visto, a dire il vero. Era un meraviglioso oggetto di legno, con misteriosi intagli e una striscia di cuoio nero sul manico.

«Provala. Vediamo se colpisci quella bottiglia!», disse il cowboy rivolgendosi al marinaio.

Il piccolino non stava più nella pelle. Anche lui voleva provarci e soprattutto voleva giocare insieme a loro. Ancora una volta si fece coraggio e, sbucando fuori dal cespuglio, si avvicinò zoppicando alla compagnia. sfoggiando quello che doveva essere un sorriso smagliante.
I ragazzini lo fissarono per qualche secondo senza dir nulla. Poi la principessa lanciò un urletto e disse: «Vi prego, ignoratelo!» Lui se ne stava lì, sorridente e malridotto, con il suo costume imbrattato e il suo orsetto smandrappato, aspettando di poter vedere come funzionava quell'aggeggio prezioso che il marinaio maneggiava con maestria.

«Sei proprio brutto!», fece il metallaro.

«Si infatti, è la maschera più brutta che io abbia mai visto. Ed è anche sudicio. Bleah!», aggiunse la principessa.

«Te ne devi andare da qui. Non puoi stare con noi!», disse il marinaio.

«Vattene via, mostro schifoso!», facevano.

Allungò il braccio buono verso il marinaio, sperando di poter toccare almeno una volta la bellissima fionda. Preso alla sprovvista e turbato dalla mostruosa maschera del piccolo intruso, il marinaio consegnò immediatamente l'arma nelle mani del cowboy. Quest'ultimo pensò che non ci fosse nulla di male nel fare amicizia col nuovo arrivato. La ragazzina, conoscendo l'amichetto col cinturone, aveva capito l'antifona e iniziò quindi a strillare: «Non dargliela! Non dargliela! Ti attacca le malattie questo!» Intervenne subito il metallaro: «Allora non hai capito, mostro! Te ne devi andare! Oppure ti riempiamo di botte!»

Il piccoletto tirò fuori dalla tasca un biscotto al cioccolato e lo allungò verso i bambini.

«Cosa dovremmo farcene del tuo merdoso biscotto!?», disse ancora il metallaro.

Frastornato dal dolore, dalle urla e da tutti quei nuovi scenari, non badò alle minacce che i ragazzini gli urlavano contro. Si avvicinò ancora un po' alla principessa, che tra tutti era la più carina, sperando che accettasse quel piccolo pegno di amicizia. Ma proprio in quel momento, il vestito gli si impuntò sotto al piede e finì per capitombolare dritto addosso a lei. In un attimo il cowboy lo tirò su e iniziò a colpirlo. L'orsetto cadde per terra e con un calcio il marinaio lo fece volare via. Anche il piccoletto si accasciò e, presi dalla foga del momento, tutti quanti iniziarono a darci sotto con le botte. Lo colpivano mentre gli urlavano che non doveva più farsi vedere da quelle paerti. Poi, resisi conto che forse avevano esagerato, si fermarono. Uno di loro si abbassò per togliergli la maschera ma non ci riuscì. E allora, terrorizzati e inorriditi, capirono.

«Che cosa abbiamo fatto...», disse qualcuno.

Era stanco, quel piccoletto. Chiuse gli occhi pensando che, dopotutto, ne era valsa la pena. Poi, finalmente, si addormentò.


Hush Little Baby

StormRuNnER · Creepy Nursery Rhymes - Hush Little Baby